PAESI DOVE HO LAVORATO – ARABIA SAUDITA – L’ACQUA

Arabia Saudita
Descrizione dei lavori
Movimenti di terra
L’acqua
Impianti di frantumazione
Opere d’arte

Gli addetti ai lavori sanno che nella esecuzione dei movimenti terra serve acqua e che il contenuto di umidità ottima nelle terre da compattare è quella che permette di ottenere la massima densità dei rilevati e che questa umidità con limiti di percentuale inferiore o superiore a quella ottima viene calcolata con precise analisi di laboratorio. (Per inciso, nei lavori fatti in Italia, questo viene messo poco in pratica con il risultato che strade e reinterri dopo un po’ cominciano a cedere.)

Nel caso dei nostri rilevati in Arabia Saudita, l’umidità ottima era attorno al 10% e considerando un limite inferiore dell’8% e una umidità interstiziale esistente del 2%, era necessario aggiungere una percentuale del 6% in peso della terra da lavorare. Considerando che il materiale per i rilevati compattato pesava attorno alle 2 tonnellate al metro cubo, era necessario aggiungere circa 120 litri di acqua per metro cubo che per una produzione giornaliera di 10,000 mc. richiedeva una quantità di acqua giornaliera di 1200 mc.
Non essendoci laghi o fiumi dove trovavamo quest’acqua?
Al mio arrivo stavano facendo degli assaggi con una terna caterpillar vicino alle Oasi e si fecero delle prove per vedere quant’acqua filtrava nella trincea scavata. Questa era pochissima e una volta pompata occorreva tutta la notte perché si riempisse nuovamente.
Non era questa quindi la strada da percorrere.
Sentimmo Telespazio in Italia che ci fece avere le foto aeree delle aree della nostra zona e studiandole attentamente notammo che vi erano delle grandissime depressioni, in cui erano anche presenti Oasi. Potevano essere dei bacini ove nel sottosuolo poteva esserci acqua. Decidemmo pertanto di procedere in questa maniera. Facemmo venire dall’Italia un geologo esperto in geofisica con sismografi e strumenti per misurare la resistività elettrica. Tarammo le curve sismiche e gli altri strumenti vicino alle Oasi dove vi era acqua.
Poi facemmo delle sezioni sismiche sistematiche secondo le mappe ricavate dalle foto aeree. Eseguimmo dei fori da 50 mm con un track drill, una macchina di perforazione cingolata e già a circa 20 metri di profondità cominciò a salire materiale umido che era indice della presenza di acqua. Il materiale che risaliva era quel granito sabbioso sciolto che indicava la presenza di un materiale con una certa permeabilità.
Decidemmo allora in accordo con l’ufficio di Milano di mandare via aerea una perforatrice cingolata Atlas Copco con relativo compressore da 10 bar attrezzata con un martello fondo foro tipo Odex 90 per eseguire fori da 3” con rivestimento microforato per esplorare la vera potenzialità del bacino acquifero sotterraneo.
Come si studia un potenziale acquifero? Si prende un triangolo di circa 100 metri di lato e si fanno 4 fori profondi circa 50 metri, rivestiti con una camicia microforata. Tre ai vertici del triangolo ed uno al centro. In quello centrale sul fondo si monta un pompa (noi montammo una pompa elettrica verticale tipo panella da 2”) e sui tre ai vertici del triangolo si montano degli strumenti chiamati limnigrafi elettrici. I limnigrafi a contato con l’acqua si illuminano e sul supporto si può leggere la profondità del livello dell’acqua.
Dopo aver installato tutto, si comincia a pompare, l’acqua viene inviata in un serbatoio artificiale ricavato da uno scavo nel terreno rivestito di un manto di plastica impermeabile. La falda comincia a scendere, maggiormente nella zona del pozzo e meno negli altri tre pozzi al vertice del triangolo

Poi si smette di pompare e si misura il tempo di risalita della falda acquifera. Con degli abachi disponibili nella letteratura scientifica si è in grado di calcolare la potenzialità della falda e misurando l’acqua pompata inviata nel serbatoio se ne poteva calcolare la quantità reale per unità di tempo da poter pompare tenendo la falda costante Facemmo prove in circa 40 aree e scoprimmo che la potenzialità delle falde era altissima. Poi scoprimmo che in molti pozzi l’acqua era dolce mentre in altri era salata.
Decidemmo pertanto, di far venire dall’Italia un Odex di maggiore dimensione e precisamente un odex 190 in grado di fare dei pozzi del 200 mm di diametro. Facemmo 40 pozzi profondi 40/50 metri, li attrezzammo con pompe Panella di maggiore portata di quelli sperimentali, con generatori deutz da 25 kv. di serbatoi di immagazzinamento e di piattaforme di carico per le autobotti


Famiglia degli Odex Dettaglio martello fondo
foro con alesatore

Risolvemmo coì il problema dell’acqua. Quella dolce fu utile anche per l’uso nel nostro campo, per la realizzazione dei calcestruzzi e per la maturazione a vapore dei cls delle opere d’arte, per cui non rimaneva alla fine del ciclo alcuna salsedine.
Ci rimase però un problema. Chi erano i proprietari dei terreni ove facemmo i pozzi? Alcuni erano evidenti ed altri no. Noi ci impegnammo a lasciare alla fine dei lavori i pozzi e relative strutture ai proprietari che rese li rese assai contenti. Di alcune aree non si riusci a stabilirne la proprietà e i confinanti cominciarono a litigare con il risultato che la polizia ci fece chiudere quei pozzi con notevole danno relativo alle spese già sostenute ed al maggior trasporto dell’acqua che ci toccò fare dagli altri pozzi.

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