UNA VITA DEDICATA AL LAVORO PARTE 2 CAPITOLO 5

In Medio Oriente

Arabia Saudita

Mentre stavamo completando le finiture della costruzione della centrale idroelettrica di Ruacana sul fiume Cunene, al confine con l’Angola, fui chiamato dalla sede di Milano per rientrare in Italia con tutta la famiglia. Destinazione Arabia Saudita. Rientrai e mi feci un buon periodo di ferie, portai la famiglia in Inghilterra e mi organizzai per questa nuova avventura.
Si trattava della costruzione di una strada della lunghezza di oltre 100 chilometri per un valore di oltre 100 milioni di $ USA, che collegava le oasi di Dukna e Nafee nel nord del paese nell’area di Ghassim, Bureidagh.

Mappa dell’Europa e della 
posizione del Regno dell’Arabia saudita

Bandiera Saudita


Mappa del Paese e dettaglio dell’area 
dove andammo a lavorare

Il cantiere era già stato avviato con la spedizione del macchinario e la costruzione dei campi per ospitare le maestranze.
Vi era andato il Geom. Giuseppe Ruzzi, un veterano della società che era stato il mio capo cantiere in Zambia nella costruzione della strada Chipata – Nyimba e che era poi andato a Taiwan per la costruzione della grande diga del Tachien. 
Ruzzi operava sotto la guida dell’Ing. Giacomo Marcheselli, anch’egli mio direttore in numerosi lavori in Zambia e in Namibia.
Mio fratello Giuseppe vi era già stato perchè faceva parte del team che studiò l’offerta, che fu poi vinta e che mi diede le prime informazioni.
Feci un primo viaggio in Arabia Saudita e con il Geom. Giuseppe Ruzzi andammo in macchina da Riyadh a Jeddha per vedere la tipologia di alcune unità abitative che erano prodotte in loco e per visitare alcuni fornitori di macchinario.


Il viaggio fu impressionante. La sabbia fluiva da un lato all’altro della strada sopra il manto di asfalto come un velo. Si trovavano in continuazione pozzi di petrolio con la loro tipica fiamma che bruciava i gas residui e, naturalmente, carovane di cammelli. Arrivati a Jeddha, era così caldo ed umido che appena uscimmo dall’auto eravamo letteralmente impregnati d’acqua.



Sulla strada si nota il flusso della sabbia del deserto spinta 
dai venti e si vede un pozzio di petrolio

Fu deciso di far venire tutto dall’Italia perché, essendo l’ambiente particolarmente caldo, occorrevano delle infrastrutture ben isolate termicamente che permettessero almeno di dormire bene la notte e durante le festività e di star bene durante il giorno.
Le temperature raggiungevano i 50° all’ombra e l’umidità nel deserto era solo il 15% , era, infatti, così bassa che si spaccava la pelle contrariamente a quella di Jeddha e Dhahran, dove l’umidità raggiungeva il 98%.


A Dahran sul Golfo arabico o persico come lo chiamano
i rispettivi paesi che vi si bagnano

Feci poi un secondo viaggio, quello che mi portò in quel Paese per dirigere la costruzione di quell’opera. 
Dopo un volo di alcune ore, atterrammo nella capitale Riyadh. Qui avevamo un ufficio centrale cui si appoggiava tutta l’organizzazione del cantiere che si trovava a qualche centinaio di chilometri a nord.


Immagine di Riyadh all’epoca dei lavori

Era impressionante la differenza rispetto ai paesi che avevo visitato negli anni precedenti. Le donne erano tutte coperte e non mostravano il loro viso o parti del corpo. Di alcune non si vedevano neppure gli occhi. Le straniere dovevano coprirsi i capelli con un velo. Non c’era una vettura guidata da donne e seppi più tardi che a loro era proibito guidare, ed anche alle straniere.
Il paradosso era che vi abitavano donne americane che volavano sui jet da combattimento, ma che non potevano guidare le macchine. Non vi dico lo strombazzare delle auto. Tutti suonavano il clascon per qualsiasi futile motivo.
Partimmo in macchina con autista sudanese, per raggiungere la meta: il cantiere di Al Athala, un’oasi a metà strada fra Duckna e Nafee. Oltre 500 chilometri verso il nord nella zona di Ghassim, Bureidagh.
Viaggiammo su un fuoristrada di marca International, con un motore diesel di 6000 cc. di cilindrata dotato di aria condizionata. La nafta costava solo 30 lire al litro.
Attraversammo grandi estensioni di deserto, di affioramenti rocciosi impressionanti, ogni tanto si incontrava qualche oasi e alcune carovane di cammelli. Si incrociavano dei fiumi secchi chiamati Wadi che si potevano attraversare senza problemi, dati la potenza del veicolo e delle marce ridotte e il blocco del differenziale di cui era dotata. Ogni tanto si vedevano pick up che nel cassone avevano i cammelli che guardavano il paesaggio o erano carichi di pecore.


Paesaggio che scorreva nei nostri occhi man mano
che proseguivamo sulla strada per il cantiere

Arrivammo ad Al Athala, un’oasi vicino alla quale era stato posto il cantiere e dove il campo era ancora in costruzione. 
Non erano ancora arrivati i materiali per montare nelle abitazioni gli apparecchi per l’aria condizionata, per cui il nostro alloggio era composto da tende. 
Potevamo andare a letto solo dopo la mezzanotte quando arrivava un po’ di venticello fresco, e ci alzavamo alle quattro di mattina perché con il levarsi del sole la temperatura schizzava alle stelle ed era impossibile dormire. 
Fortunatamente, poco dopo arrivarono i cavi, i generatori, i condizionatori e potemmo completare gli alloggi per gli scapoli, camerette con bagno, utilizzando unità abitative prefabbricate ben isolate prodotte dalla ditta Ferretti di Como.



Montaggio delle abitazioni per famiglie e scapoli
della ditta Ferretti di Como

Nel frattempo cominciammo a costruire le abitazioni per le famiglie.
Il panorama attorno al cantiere era sconcertante. Dovunque volgessi lo sguardo, erano deserto e roccia, ragnacci simili a tarantole, velocissimi scorpioni e, naturalmente, le nostre abitazioni e la torre con il sopraelevato serbatoio per l’acqua potabile, di cui il cantiere aveva bisogno.
Incontrai alcuni dei miei vecchi amici e colleghi. Concordammo che quel lavoro sarebbe stata una grande sfida. Conobbi anche l’Emiro del villaggio di Al Athala, sotto la cui giurisdizione dovevamo operare. Si trattava di un arabo piccolo, vestito nei suoi tradizionali abiti, con turbante, che si chiamava Abu Fahd. Era una persona semplice a capo di questo piccolo villaggio e devo dire che con lui si è creata un’amicizia, nonostante le differenti abitudini, cultura e fede. Ci ha sempre aiutato quando ne avevamo bisogno. I Sauditi normalmente non lavoravano con le imprese provenienti dall’estero ma suo figlio si era innamorato delle pale caterpillar e lavorò con noi come palista per tutta la durata dei lavori.
Il macchinario per eseguire i lavori arrivò tutto dall’Italia usando come trasportatore la ditta Merzario con un sistema Roll On – Roll Off che permetteva di ricevere i macchinari e materiale in tempi relativamente brevi.
Quando arrivai, oltre alla costruzione dei campi, alloggi, uffici, officine, magazzini ecc., si stavano facendo i tracciati ed i rilievi, la ricognizione delle aree e la ricerca dell’acqua necessaria per l’esecuzione dei 10 milioni di metri cubi del rilevato stradale.


L’acqua era un problema di grande preoccupazione perché nelle oasi, dove essa affiorava, era così poca che bastava a dar da bere a cammelli, pecore, capre e alla popolazione, oltre ad irrigare quei piccoli appezzamenti di terra dove gli abitanti del villaggio coltivavano ortaggi.
La direzione lavori era americana ed impiegava tutti tecnici filippini. Erano molto fiscali, come lo erano le norme tecniche, per cui occorreva lavorare al massimo della qualità. Diversamente i lavori venivano fermati.
Il nostro personale era composto quasi completamente da italiani e da sudanesi, e da qualche palestinese. Il medico e la moglie erano egiziani. La forza lavoro era di circa 200 persone.
Fu interessante il processo mediante il quale trovammo l’acqua necessaria per l’esecuzione dei lavori. Utilizzammo immagini del satellite avute da Telespazio per localizzare i possibili bacini imbriferi. I dettagli li troverete nel capitolo dedicato ai lavori.