Mauritius

Impianto Idroelettrico di Champagne nelle Isole Mauritius

L’Impresa Cogefar aveva acquisito assieme alla grande Impresa francese Spie Batignolle la costruzione nelle Isole Mauritius di un Impianto idroelettrico e precisamente l’impianto idroelettrico di Champagne vicino alla città di Curepipe.
Mi fu dato l’incarico di fare da coordinatore fra in cantiere e la Sede, in particolare il collegamento con l’ufficio impianti e macchinari per le relative scelte di collaborare con la Direzione di Cantiere data all’Ing. De Fari, di mettere a punto una serie di programmi esecutivi. Collaborai anche nelle operazioni relative a numerosi contenziosi che emersero con la Direzione lavori per errori di progettazione e dati contrattuali inesatti. La direzione lavori fu la Snowy Mountains Engineers Australiana, e il Direttore dei Lavori certo Olsauskas.
Feci numerosi viaggi il quella isola meravigliosa perla dell’oceano indiano oggetto di un turismo incredibile.

Si trattava di costruire una diga in terra e roccia alta una cinquantina di metri, con relativa deviazione in galleria del fiume, un opera di presa costituita da una torre altra una settantina di metri con relativo ponte di accesso, uno sfioratore di superficie per deviare le eventuali piene e relativo canale di scolo, un pozzo di presa alto circa 100 metri, una galleria di circa 3 chilometri di cui la parte finale blindata, un pozzo piezometrico con relativo serbatoio alto oltre 200 metri, una centralina idroelettrica all’aperto con due turbine, un canale di scarico finale che portava al mare e tutte le relative strade di collegamento.
Un lavoro impegnativo che richiese molto impegno ed ingegno per affrontare temi particolari relativi ai materiali di costruzione e alle condizioni ambientali particolarmente sfavorevoli.
Le località marine di villeggiatura sono stupende e quasi sempre assolate, ma andando verso l’interno del paese s’incontra sistematicamente una muro verticale di pioggia. Evidentemente la forma fisica dell’isola porta la parte centrale montuosa ad essere regolarmente sotto una nuvoletta che ogni tanto manda giù acqua.
Poi, occorreva tener conto nella progettazione e montaggio di tutte le infrastrutture che l’Isola è soggetta a Monsoni la cui violenza era tale da spazzar via tutto ciò che era precario. Feci il mio primo viaggio con una Boeing 707 della Air Maurice da Roma via Nairobi, passando sopra la gigantesca Isola di Madagascar per atterrare a Port Louis dove si trova l’aeroporto internazionale. Prima di scendere fummo irrorati da uno spray che uccidere eventuali parassiti o insetti o pollini pericolosissimi per l’Isola dato che vive solo con turismo e canna da Zucchero. Era tassativamente proibita l’importazione di qualsiasi tipo di pianta o fiori.
Ci recammo a Curapipe dove alloggiai in albergo. Fu impressionante il percorso in macchina attraversando infinita campagna coperta da piantagioni di canna da zucchero. Poi erano incredibili i fiori. Gigantesche piante di bouganville con fiori di almeno cinque o sei colori. Si vedevano delle bellissime palme del pellegrino che sono piatte rispetto alle palme normali. Una vegetazione intensa con delle macchie di color verde più o meno intense. Il percorso era collinoso era contornato di fiori di tutti i tipi dalle forme più varie e sgargianti.
L’altra cosa che mi ha colpito arrivando a Curapipe e’ stata la gran varietà di genti di differenti etnie e colori. Europei, gente di origine indiana, di origine malese, mulatti, e una gran varietà di lingue: francese, inglese, hindi ed altre.
Il giorno dopo ho visitato il cantiere conoscendo il Direttore l’Ing. De Fari. Il cantiere si era già messo in moto con la costruzione degli alloggi che dovevano essere tassativamente capaci di resistere a cicloni, e con alcuni subappaltatori si è cominciato a fare le strade di accesso al cantiere e preparare le piazzole per le infrastrutture; uffici, officine, piazzali macchine e quanto altro.
Intanto cominciava ad arrivare il macchinario ed il personale necessario al cantiere.
Fu interessante visitare l’area dove sarebbe nata la diga. Si trovava in una valle verdeggiante dove vi era una bellissima cascata- Il piede di valle della diga si trovava a pochi metri dal ciglio superiore della cascata. Fra il resto l’area era interessata dalla presenza di cervi e altra fauna. La vegetazione medio alta era costituita da piante la cui corteccia era in effetti la cannella, quella che viene usata per addolcire e assaporare il té. Io ne portai nell’abitazione qualche chilo e la misi ad asciugare nel forno. Dopo un pò tutta la casa sapeva di cannella.
Una delle lavorazioni iniziali fu appunto quella di disboscare l’area dalle piante di cannella.
Il progetto fu assai interessante perchè vi furono molte sorprese contrattuali sui materiali da scavare, sulle condizioni meteorologiche, sulla qualità delle argille da usare per fare il nucleo della diga e sulle caratteristiche della roccia nello scavo del pozzo di adduzione.
Ve ne faccio un accenno e se poi interessa approfondirlo potete andare al capitolo dei lavori eseguiti.
Il primo problema fu quello delle strade di accesso. L’argilla di base era incapace di sostenere i carichi delle macchine per movimento terra che vi sprofondavano dentro. Tentammo tutte le soluzioni possibili, cingoli larghi nei bulldozer, uso di grelle (quelle che si usavano per fare rapidamente piste di atterraggio per gli aeroplani) ma alla fine fu adottata una soluzione geniale che fu quella di posare in avanzamento delle balle ricavate dai residui della canna da zucchero. Sopra di queste uno spessore di materiale misto per fondazioni stradali.
Un altro problema fu quello che l’argilla, che poi scoprimmo contenere Gibsite ed Aloisite (due minerali che trattengono l’acqua) era come la colla, si attaccava ai cassoni dei camion e non scendeva. Fu risolto mettendo dei lamieroni sul fondo dei cassoni dei camion tenuti con due catene fissate alla parte alta anteriore dei cassoni. Quando il cassone si alzava e raggiungeva il limite dell’angolo di attrito ferro ferro, il lamierone partiva di colpo e il contraccolpo scaricava a terra buona parte dell’argilla. La soluzione di rivestire di Nilos (una materiale plastico tensioattivo) i cassoni fu scartata perchè troppo costosa.
Le cave di argilla per realizzare il nucleo erano inaccessibili per lo stesso problema sopraindicato e l’argilla stessa era inasciugabile dato che i minerali contenuti nell’argilla non permettevano alle molecole di acqua di liberarsi ed evaporare. Fu utilizzata la soluzione di mettere l’argilla nel nucleo della diga senza compattarla. Su questi temi si scatenò un contenzioso enorme con la direzione lavori e noi prendemmo un grande consulente americano – Stanley Wilson allievo di Terzaghi il maestro della geotecnica contemporanea, che con la sua esperienza permise all’impresa di vincere le suddette battaglie. Sempre Stanley Wilson mise in evidenza che le scarpate di scavo della spalla sinistra della diga e del trincerane del cut off, erano troppo ripide. La direzione lavori non ci sentiva fino a che non vi fu una grossa frana sulla spalla sinistra.
I dati meteo fornitaci in contratto erano inesatti. La quantità di pioggia e la frequenza delle piogge risultò inesatta quando installammo un pluviografo affiancato ad una stazione tradizionale con bicchiere. Contrariamente al numero di piogge giornaliere di una certa intensità indicate in contratto, si rilevò che la frequenza del piogge era molto più alta, con pochi intervalli asciutti dove poter lavorare per asciugare le argille. Anche le ore di insolazione diretta indicate in contratto e rilevate con un eliofanografo usato per stabilire le ore d’insolazione prese dalla canna da zucchero e determinarne il livello zuccherino e la data di taglio, erano inesatte. Con un altro strumento chiamato Piranografo bimetallico fu possibile misurare l’insolazione diretta, quella indiretta con la presenza di nuvole e di poter calcolare le calorie disponibili nell’unità di tempo per asciugare le argille. La frequenza pioggia ed i dati sull’insolazione aggiunti ai dati sulla velocità del vento, pressione e umidità permise di dimostrare che i dati contrattuali erano inesatti aprendo le porte ad
un contenzioso Fu montato un ponte Bailey per attraversare il fiume.
Fu scavata la galleria di deviazione che sbucava a valle della cascata a sinistra. Fu svuotata la buca creata nella roccia a valle della cascata scavata nei millenni per trovarvi sotto una infinità di gamberi d’acqua dolce. Che scorpacciate.
Fu studiata a Milano una piattaforma superattrezzata per scavare il pozzo di presa dall’alto profondo circa 100 metri. Nel pozzo vi era roccia da scavare con scavatore e martellone, roccia da mina, cenere vulcanica, acqua d’infiltrazione e occorreva proteggere lo scavo con bulloni, rete elettrosaldata, betoncino lanciato e occorreva pompare l’acqua d’infiltrazione, mandare giù attraverso tubazioni aria fresca e rimuovere i materiali scavati da mandare all’esterno.
La galleria di 3 chilometri fu forata e sparata con un jumbo idraulico Montabert e volate alla canadese. La roccia caricata, trasportata e smarinata attraverso un treno Bunker Salzgitter.
Il rivestimento della galleria fu eseguito con operazione continua usando un cassero Icoma e un treno di alimentazione del calcestruzzo. I locomotori per trainare tutti i mezzi di lavoro erano elettrici con diversi scambi in galleria.
Il pozzo piezometrico fu scavato inizialmente con una fresa Wirth da 2.40 metri e poi l’allargo con perforazione e sparo convenzionale. Il materiale scavato smarinato dalla galleria sempre con il treno Bunker. Il pozzo fu poi rivestito con cassaforma rampante.
La diga vera e propria fu realizzata in 4 spicchi dato che era tagliata trasversalmente dal cut off trench – un trincerone – che tagliava le acque d’infiltrazione sotterranee e dalla deviazione del fiume. Il paramento di monte fu poi rivestito di pietra per fare un Rip Rap a protezione del rilevato dall’azione delle onde del bacino. Fu poi realizzato il ponte di accesso all’opera di presa, il blindaggio finale della galleria e la biforcazione, la centrale a valle della galleria con due turbine ed il canale finale di scarico a valle.
In parallelo con tutto ciò furono elaborati numerosi programmi dei lavori utilizzando del software avanzato che permetteva un collegamento elettronico di tutte le lavorazioni. Questo era necessario per mettere in evidenza i ritardi causati dalla variate condizioni Contrattuali.
Se ricordo bene, si andò ad un contenzioso contrattuale con sede arbitrale a Parigi di cui però non conosco il risultato.
Durante i miei vari viaggi che servivano per coordinare il cantiere con i vari uffici di sede, ebbi l’occasione di andare in Inghilterra a New Castle on Tyne – dove un impresa tedesca stava realizzando una galleria di 25 chilometri per portare l’acqua da una lago artificiale ad un altro fiume. La galleria aveva la stessa sezione di quella dell’Impianto di Champagne e stava utilizzando un cassero della Impresa Italiana ICOMA. Il getto era in continuo. Si voleva verificare come funzionava il cassero e che problemi avevano incontrato per poter poi ordinare il cassero a nostra volta lungo 50 metri. Sostanzialmente il cassero era molto funzionale. L’attraversamento del cassero da parte degli elementi retrostanti che si chiudevano a riccio funzionava egregiamente. Fu solo studiato qualche leggera modifica al sistema delle guarnizioni per ridurre le perdite di boiacca di cemento nelle zone di contatto tra i diversi elementi di cassero. Il cassero ordinato alla ICOMA fu poi mandato a Mauritius, montato, ed il getto realizzato velocemente. Il calcestruzzo veniva portato all’interno mediante autobetoniere chiuse cilindriche orizzontali in serie ICOMA tirate da locomotore e pompato da una pompa Swing stazionaria che stazionava davanti al cassero.
Praticamente il getto non aveva giunti o testate.
Vi allego due power point. Uno della descrizione dei lavori ed uno sui problemi incontrati.