Arabia Saudita
Arabia Saudita
Descrizione dei lavori
Movimenti di terra
L’acqua
Impianti di frantumazione
Opere d’arte
Costruzione della strada Dukna – Nafee.
L’impresa di costruzioni Giuseppe Torno per cui lavoravo, vinse l’appalto per la costruzione di questa strada della lunghezza di oltre 100 chilometri per un valore di oltre 100 milioni di $ USA, che collegava le oasi di Dukna e Nafee nel nord del paese nell’area di Ghassim, Bureidagh.
Nella seconda parte degli anni 70 io mi trovavo nell’Africa del Sud Ovest dove stavamo completando le finiture della costruzione della centrale idroelettrica di Ruacana sul fiume Cunene al confine con l’Angola quando fui chiamato dalla sede di Milano per rientrare in Italia con tutta la famiglia. Destinazione Arabia Saudita. Rientrai e mi feci un buon periodo di ferie, portai la famiglia in Inghilterra e mi organizzai per questa nuova avventura.
Il cantiere era già stato avviato con la spedizione del macchinario, e la costruzione dei campi per ospitare le maestranze.
Vi era andato il Geom. Giuseppe Ruzzi un veterano della società che era stato il mio capo cantiere in Zambia nella costruzione della strada Chipata – Nyimba e che era poi andato a Taiwan per la costruzione della grande diga del Tachien.
Ruzzi operava sotto la guida dell’Ing. Giacomo Marcheselli anch’egli mio direttore in numerosi lavori in Zambia e in Namibia.
Mio fratello Giuseppe vi era già stato perchè faceva parte del team che studiò l’offerta che fu poi vinta e che mi diede le prime informazioni.
Feci un primo viaggio in Arabia Saudita e con il geom. Giuseppe Ruzzi andammo in macchina da Riyadh a Jeddha per vedere la tipologia di alcune unità abitative che erano prodotte in loco e per visitare alcuni fornitori di macchinario. Il viaggio fu impressionante. La sabbia fluiva da un lato all’altro della strada sopra il manto di asfalto come un velo. Si trovavano in continuazione pozzi di petrolio con la loro tipica fiamma che bruciava i gas residui e naturalmente carovane di cammelli.
Arrivati a Jeddha era così caldo ed umido che appena uscimmo dall’auto eravamo letteralmente impregnati d’acqua.
Fu deciso di far venire tutto dall’Italia perché essendo l’ambiente particolarmente caldo occorrevano delle infrastrutture ben isolate termicamente che permettessero almeno di dormire bene la notte e durante le festività e di star bene durante il giorno.
Le temperature raggiungevano i 50° all’ombra e l’umidità nel deserto era solo il 15% ed era così bassa che si spaccava la pelle contrariamente a quella di Jeddha e Dhahran dove l’umidità raggiungeva il 98%.
Feci poi un secondo viaggio, quello che mi portò in quel paese per dirigere la costruzione di quell’opera.
Dopo un volo di alcune ore atterrammo nella capitale Riyadh. A Riyadh avevamo un ufficio centrale cui si appoggiava tutta l’organizzazione del cantiere. Il cantiere si trovava a qualche centinaio di chilometri al Nord.
Era impressionante la differenza rispetto ai paesi che avevo visitato negli anni precedenti. Le donne erano tutte coperte e non mostravano il loro viso o parti del corpo. Di alcune non si vedevano neppure gli occhi. Le straniere dovevano coprirsi i capelli con un velo. Non c’era una vettura guidata da donne e seppi più tardi che alle donne era proibito guidare ed anche le straniere.
Il paradosso era che vi abitavano donne americane che volavano sui jet da combattimento ma che non potevano guidare le macchine. Non vi dico lo strombazzare delle auto. Tutti suonavano il clascon per qualsiasi futile motivo.
Partimmo in macchina con autista sudanese, per raggiungere la meta; il cantiere di Al Athala, una oasi a metà strada fra Duckna e Nafee. Oltre 500 chilometri verso il nord nella zona di Ghassim, Bureidagh.
Viaggiammo su un fuori strada di marca International con un motore diesel di 6000 cc. di cilindrata dotato di aria condizionata. La nafta costava solo 30 lire al litro.
Attraversammo grandi estensioni di deserto, di affioramenti rocciosi impressionanti, ogni tanto si incontrava qualche oasi e carovane di cammelli. Si incontravano dei fiumi secchi chiamati Wadi che si potevano attraversare senza problemi data la potenza del veicolo, delle marce ridotte e blocco del differenziale di cui era dotata. Ogni tanto si incrociavano pick up che nel cassone avevano i cammelli che guardavano il paesaggio o erano carichi di pecore.
Arrivammo ad Al Athala, una oasi vicino alla quale era stato posto il cantiere e dove il campo era ancora in costruzione.
Non erano ancora arrivati i materiali per montare nelle abitazioni gli apparecchi per l’aria condizionata per cui il nostro alloggio era composto da tende.
Potevamo andare a letto solo dopo la mezza notte quando arrivava un po’ di venticello fresco e ci alzavamo alle quattro di mattina perché con l’alzarsi del sole la temperatura schizzava alle stelle ed era impossibile dormire.
Fortunatamente, poco dopo arrivarono i cavi, i generatori, i condizionatori e potemmo completare gli alloggi per gli scapoli, camerette con bagno, utilizzando unità abitative prefabbricate ben isolate prodotte dalla ditta Ferretti di Como.
Nel frattempo cominciammo a costruire le abitazioni per le famiglie.
Il panorama attorno al cantiere era impressionante. Dovunque volgevi lo sguardo vedevi deserto e roccia, ragnacci simili a tarantole, velocissimi scorpioni e naturalmente le nostre abitazioni e la torre con il sopra elevato serbatoio per l’acqua potabile di cui il cantiere aveva bisogno.
Incontrai alcuni dei miei vecchi amici e colleghi. Concordammo che quel lavoro sarebbe stata una grande sfida.
Conobbi anche l’Emiro del villaggio di Al Athala sotto la cui giurisdizione dovevamo operare. Si trattava di un arabo piccolo vestito nei suoi tradizionali abiti, con turbante che si chiamava Abu Fahd. Era una persona semplice a capo di questo piccolo villaggio e devo dire che con lui si è creata un’amicizia, nonostante la differente cultura, abitudini e Fede. Ci ha sempre aiutato quando ne avevamo bisogno. I Sauditi normalmente non lavoravano con le imprese provenienti dall’estero ma suo figlio si era innamorato delle pale caterpillar e lavorò con noi come palista per tutta la durata dei lavori.
Il macchinario per eseguire i lavori arrivò tutto dall’Italia usando come trasportatore la ditta Merzario con un sistema Roll On – Roll Off che permetteva di ricevere i macchinari e materiale in tempi relativamente brevi.
Quando arrivai, oltre alla costruzione dei campi, alloggi, uffici, officine, magazzini ecc, si stavano facendo i tracciati ed i rilievi, la ricognizione delle aree e la ricerca dell’acqua necessaria per la esecuzione dei 10 milioni di metri cubi del rilevato stradale.
L’acqua era un problema di grande preoccupazione perché le oasi dove essa affiorava era così poca che bastava a dar da bere a cammelli, pecore, capre e alla popolazione oltre ad irrigare quei piccoli appezzamenti di terra dove gli abitanti del villaggio coltivavano ortaggi.
La direzione lavori era americana ma impiegava tutti tecnici filippini. Erano molto fiscali come lo erano le norme tecniche per cui occorreva lavorare al massimo della qualità. Diversamente i lavori venivano fermati.
Il nostro personale era composta quasi completamente da Italiani, da Sudanesi e da qualche palestinese. Il medico e la moglie erano egiziani. La forza lavoro era di circa 200 persone.
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L’acqua
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