Tahirih la pura

Martha ROOT
casa editrice Bahà’ì
Tahirih la pura
Copyright 1996 – Casa Editrice Bahà’ì
titolo orignale: “Tahirih The Pure”
1^ edizione 1996
ISBN 88-7214-039-0
pag. 147

INTRODUZIONE

Per capire la storia di Tàhirih, si dovrebbe sapere qualcosa dell’Iran del suo tempo, ed essere a conoscenza di quella fenomenale rinascita religiosa nota come Fede Bahà’i che ebbe origine in quella terra nella metà del diciannovesimo secolo. Fino ad allora le donne di tutto il mondo vivevano in uno stato di sottomissione più o meno evidente; ora le donne che costituiscono la metà dell’intera razza umana dopo secoli di sopore, sono ampiamente consapevoli della loro nuova posizione e si muovono verso nuove idee. Dovrebbe essere emozionante per loro sapere che la prima martire per i diritti delle donne non è stata un’occidentale, ma una giovane poetessa, Tàhirih, talvolta conosciuta come Qurratu’l-‘Ayn, di Qazvin, Iran.

‘Abdu’l-Bahà le ha dedicato un omaggio eloquente. Ricordo benissimo le Sue parole dette a noi in Occidente:

“Fra le donne della nostra epoca vi è Qurratu’l-‘Ayn, figlia di un prete musulmano. Al tempo della Rivelazione del Bàb, mostrò tanto coraggio e potere da meravigliare tutti coloro che l’ascoltavano. Si tolse il velo contravvenendo ad una immemorabile tradizione propria delle donne dell’Iran; nonostante fosse considerato sconveniente parlare con gli uomini, questa eroica donna si misurava con quelli più istruiti e in ogni riunione li batteva. Il governo iraniano la imprigionò. Per le strade le lanciarono pietre e anatemi, la esiliarono di città in città, la minacciarono di morte, ma non venne mai meno alla determinazione di lavorare per la libertà delle sue sorelle. Sopportò persecuzioni e sofferenze con il più grande eroismo, persino in prigione conquistò nuovi credenti. Ad un ministro iraniano, nella cui casa era tenuta prigioniera, disse: “Potete uccidermi quando vi aggrada, ma non potete fermare l’emancipazione delle donne”. Giunse infine l’epilogo della sua tragica vita: fu portata in un giardino e strangolata. Si era vestita col suo abito migliore, come se fosse diretta ad un ricevimento nuziale. Offrì la vita con grandezza d’animo e coraggio, meravigliando e incantando tutti coloro che la videro. Era davvero una grande eroina. Ora, in Iran, fra i Bahà’i vi sono donne che mostrano anch’esse un intrepido coraggio e che sono dotate di capacità poetiche. Sono molto influenti e parlano in presenza d’un gran numero di persone.

La coraggiosa, immortale personalità di Tàhirih si staglierà per sempre sullo sfondo dell’eternità, perché diede la vita per le donne sue sorelle. Il dolce profumo del suo eroico altruismo è diffuso sopra tutti e cinque i continenti. Gente di tutte le religioni e di nessuna, di tutte le razze e di tutte le classi, ama oggi l’essenza delle sue imprese e piange lacrime d’amore e di desiderio quando vengono cantati i suoi grandi poemi. Attraverso la sua coraggiosa presa di posizione la bilancia si è spostata e l’uomo e la donna sono diventati più uguali. La forza – vecchio modello – sta perdendo il suo dominio, e l’intuizione, la capacità d’osservazione, sprazzi di conoscenza cosmica, e le qualità spirituali d’amore e servizio in cui la donna è forte, stanno guadagnando ascendente. E ci si accorge che questa nuova epoca è un’età in cui gli elementi maschili e femminili di civilizzazione si adattano con maggiore uniformità. L’uomo e la donna sono come le due ali dell’uccello dell’umanità. Questo uccello non può giungere alle più alte vette del proprio volo, finché queste due ali non siano ugualmente forti e ugualmente equilibrate. Un importante insegnamento della Fede bahà’i è che le donne dovrebbero essere considerate uguali agli uomini e avere uguali diritti e privilegi, uguale educazione, uguali opportunità. Tàhirih ha dovuto morire per questi grandi ideali, ma oggi il nostro compito è vivere per essi.

Cari lettori, le mie parole non potrebbero descrivere così bene l’Iran del XIX secolo, periodo in cui visse Tàhirih, come ha fatto l’illuminante descrizione di Shoghi Effendi, Custode della Fede bahà’i ad Haifa, nell’allora Palestina, presentando la sua magistrale introduzione al libro storico di Nabil Gli Araldi dell’Aurora.

Così, con il suo gentile permesso, userò citazioni tratte da questa prefazione:

“Il Movimento bahà’i è ora ben noto in tutto il mondo ed è giunto il momento in cui l’impareggiabile narrazione delle sue origini nella tenebrosa Persia, scritta da Nabil, può interessare molti lettori…”

“I protagonisti del racconto (la santa eroica figura del Bàb, guida mite e serena, eppure così ardente, risoluto e dominante; la devozione dei Suoi seguaci che affrontano l’oppressione con coraggio indomito e spesso con estasi; la rabbia di un clero invidioso, che accende per i propri scopi le passioni di una plebe assetata di sangue) – parlano un linguaggio che tutti possono capire. Ma non è facile seguire la narrazione dei suoi dettagli o comprendere quanto fosse enorme il compito assunto da Bahà’u’llàh e dal Suo Precursore, senza qualche cognizione sulle condizioni della chiesa e dello stato in Persia e sui costumi e sulla mentalità del popolo e dei suoi padroni…”

“Esiste comunque in inglese una letteratura sulla Persia del diciannovesimo secolo che può fornire al lettore occidentale ampie informazioni sull’argomento. Da scritti persiani già tradotti o da libri di viaggiatori europei, quali Lord Curzon, Sir J. Malcolm e non pochi altri, si può desumere un quadro fedele e vivo, anche se sgradevole, delle condizioni improbe che il Bàb dovette affrontare quando inaugurò il Movimento alla metà del diciannovesimo secolo”.

“Tutti gli osservatori sono concordi nel rappresentare la Persia come una nazione debole e arretrata, spaccata all’interno da pratiche corrotte e da feroci bigottismi. L’inefficienza e la viltà, frutti della decadenza morale, riempivano il paese. Tanto tra i potenti quanto tra gli umili, non solo mancava la capacità di portare a termine metodi di riforma, ma non c’era nemmeno una seria volontà d’iniziarli L’orgoglio nazionale predicava un grandioso autocompiacimento. Una cappa d’immobilismo copriva ogni cosa e una paralisi mentale collettiva rendeva impossibile ogni sviluppo.

Allo studioso di storia la decadenza d’una nazione un tempo così potente e illustre appare estremamente pietosa. ‘Abdu’l-Bahà che nonostante le crudeltà inflitte a Bahà’u’llah, al Bàb e a Lui stesso, amava tuttavia la Sua terra, chiamò questa degradazione “la tragedia di un popolo” e nell’opera The Mysterious Forces of Civilization, in cui cercò d’incitare il cuore dei Suoi compatrioti a intraprendere riforme radicali, espresse un toccante lamento sulla sorte di una nazione che un tempo aveva esteso le proprie conquiste in oriente e in occidente ed era stata faro di civiltà tra gli uomini. “Nei tempi passati”, Egli scrive, “la Persia fu veramente il cuore del mondo e brillò tra le nazioni come una fiaccola accesa. La sua gloria e la sua prosperità apparvero all’orizzonte dell’umanità come l’aurora diffondendo la luce della conoscenza e illuminando le nazioni dell’oriente e dell’occidente. La fama dei sui Re vittoriosi giunse alle orecchie degli abitanti delle regioni più remote della terra. La maestà del suo Re dei Re umiliò i monarchi di Grecia e di Roma. La sua saggezza nel governare colmò di rispetto i saggi, e i governanti dei continenti modellarono le proprie leggi sulla sua politica. I Persiani eccelsero tra le nazioni della terra come popolo di conquistatori e furono giustamente ammirati per la loro civiltà e cultura; pertanto il loro paese divenne un centro glorioso di tutte le scienze e le arti, una miniera di cultura e una fonte di virtù… Come mai questo eccellente paese, oggi, a causa della nostra indolenza, vanità e indifferenza, per la mancanza di conoscenza e d’organizzazione, per la scarsità di zelo e ambizione nel suo popolo, sopporta che i raggi della sua prosperità siano oscurati e quasi estinti?”.

Altri scrittori descrivono dettagliatamente le infelici condizioni a cui ‘Abdu’l-Bahà si riferisce.

“Al tempo in cui il Bàb dichiarò la Sua Missione, il governo del paese era, con le parole di Lord Curzon, “uno stato teocratico”. Pur essendo venale, crudele e immorale, era formalmente religioso. L’ortodossia islamica eh la sua base e permeava fino al midollo sia lo stato sia la vita sociale del popolo. Ma per il resto non esistevano leggi, statuti o costituzioni che guidassero la direzione degli affari pubblici. Non c’erano nè Senato, nè Consiglio della Corona, nè Sinodo, né Parlamento. Lo scià era un despota e il suo arbitrario modo di governare si rifletteva lungo la scala ufficiale, in ogni ministro o governatore, fino al più umile impiegato e al più remoto capotribù. Non esisteva alcun tribunale civile che controllasse o modificasse il potere del monarca o l’autorità che egli decidesse di delegare ai suoi subordinati. Se una legge c’era, questa era la sua parola. Egli poteva fare quel che gli pareva .

“Per uno scià era difficile prendere una decisione giusta e saggia su un caso sottoposto al suo giudizio, perfino quando desiderava farlo, perché non si poteva fidare delle informazioni che gli venivano date. Elementi determinanti potevano essere nascosti, o i fatti esposti potevano essere distorti dall’influenza di testimoni interessati o di ministri venali. In Persia il sistema di corruzione era giunto a tal punto da essere divenuto un’istituzione riconosciuta, che Lord Curzon descrive con le seguenti parole:

‘Prima di abbandonare l’argomento della legge persiana e della sua amministrazione, voglio aggiungere qualche parola sull’argomento delle pene e delle prigioni. Nulla è più traumatizzante per il lettore europeo, che s’inoltri nelle criminose e insanguinate pagine della storia persiana dell’ultimo e, fortunatamente in grado minore, dell’attuale secolo, delle testimonianze di punizioni selvagge e abominevoli torture, che dimostrano rispettivamente una insensibilità bestiale e un’ingegnosità diabolica. Il carattere persiano è sempre stato fertile di espedienti e insensibile alla sofferenza; e nell’ambito delle esecuzioni capitali ha trovato un vasto campo per mettere in pratica entrambe le doti. Fino a tempi abbastanza recenti, entro i confini dell’attuale regno, i criminali condannati a morte sono stati crocifissi, sparati da cannoni, seppelliti vivi, impalati, ferrati come cavalli, squartati legandoli alle cime di due alberi legati assieme e poi lasciati tornare alla loro posizione naturale, trasformati in torce umane, scorticati vivi

“Il Bàb deve avere presagito sin dall’inizio l’accoglienza che i Suoi concittadini avrebbero accordato ai Suoi insegnamenti e il destino che lo attendeva per mano dei mullà. Ma non permise che timori personali influenzassero la franca enunciazione delle Sue affermazioni o l’aperta presentazione della Sua Causa. Le innovazioni che proclamò, anche se puramente religiose, furono drastiche, l’annuncio della Sua identità fu sconvolgente e tremendo. Egli Si fece conoscere come il Qà’im, il Grande Profeta, o Messia da lungo tempo promesso, così ansiosamente atteso dal mondo musulmano, A ciò aggiunse la dichiarazione di essere anche la Porta (cioè il Bàb) attraverso la quale doveva entrare nel regno umano una Manifestazione più grande di Lui

“Egli era il Qà’im; ma il Qà’im, anche se Grande Profeta, era in rapporto con una Manifestazione successiva e più grande, come Giovanni Battista nei confronti del Cristo. Era il Precursore di Uno ancor più possente di Lui. Egli doveva diminuire; il Possente doveva aumentare. E come Giovanni Battista era stato l’Araldo o la Porta del Cristo, così il Bàb era l’Araldo o la Porta di Bahà’u’llàh

“Il motivo per cui il Bàb venne respinto e perseguitato fu in sostanza lo stesso per cui era stato respinto e perseguitato il Cristo. Se Gesù non avesse portato un Nuovo Libro, se non avesse anche continuato le leggi e le regole di Mosé, avrebbe potuto come semplice riformatore morale sfuggire alla vendetta degli Scribi e dei Farisei. Ma sostenere che una qualsiasi parte della legge mosaica, anche semplicemente ordinanze materiali come quelle relative al divorzio e all’osservanza del sabato, potessero essere alterate da un predicatore laico del villaggio di Nazareth – questo significava minacciare gl’interessi degli Scribi e dei Farisei stessi e, poiché essi erano i rappresentanti di Mosé e di Dio, era una bestemmia contro l’Altissimo. Non appena la posizione di Gesù fu compresa, le persecuzioni ebbero inizio. Poiché Egli si rifiutò di desistere, fu messo a morte.

“Per ragioni esattamente parallele, il Bàb fu fin dall’inizio osteggiato dagl’interessi costituiti della chiesa dominante quale estirpatore della Fede. Eppure, perfino in quel paese oscuro e fanatico, per i mullà (come per gli Scribi in Palestina diciotto secoli prima) non fu molto facile scovare un pretesto plausibile per distruggere Colui che essi consideravano loro nemico.”

I Bàbi “furono sopraffatti dal numero. Il Bàb stesso fu strappato dalla Sua cella e giustiziato. Dei Suoi principali discepoli che confessarono la loro fede in Lui, neppur uno fu lasciato vivo tranne Bahà’u’llàh, che con la Sua famiglia e un pugno di devoti seguaci fu cacciato, privo d’ogni mezzo, esule e prigioniero in una terra straniera.

“Ma il fuoco, benché coperto di cenere, non era spento. Esso ardeva nel cuore degli esiliati che viaggiando lo portarono da paese a paese. Anche nella sua patria, la Persia, esso era penetrato troppo profondamente per poter essere spento dalla violenza fisica e ardeva ancora nel cuore della gente e gli occorreva solo un soffio dello spirito per poter divampare in un incendio divoratore.

“La Seconda e Più Grande Manifestazione di Dio fu proclamata, in conformità con la profezia del Bàb, alla data che Egli aveva predetto. Nove anni dopo l’inizio della Dispensazione Bàbi – cioè nel 1853 – Bahà’u’llàh, in alcune delle Sue odi, alluse alla Sua identità e alla Sua Missione e dieci anni più tardi, mentre si trovava a Baghdàd, dichiarò ai Suoi compagni di essere il Promesso.

“Allora il Grande Movimento per cui il Bàb aveva preparato la via cominciò a mostrare tutta la portata e lo splendore della sua potenza. Sebbene Bahà’u’llàh sia vissuto e morto esule e prigioniero e sia stato conosciuto da pochi europei, le Sue epistole proclamanti il nuovo Av- vento furono inviate ai grandi governanti di entrambi gli emisferi, dallo scià di Persia al Papa e al Presidente degli Stati Uniti. Dopo il Suo trapasso, Suo figlio ‘Abdu’l-Bahà portò Egli stesso la buona novella in Egitto e in ampie zone del mondo occidentale. ‘Abdu’l-Bahà visitò Inghilterra, Francia, Svizzera, Germania e America, annunziando in ogni luogo che ancora una volta i cieli si erano aperti e una nuova Dispensazione era giunta a benedire i figli degli uomini. Egli morì nel novembre del 1921; e oggi il fuoco, che una volta sembrava estinto per sempre, arde ancora in ogni paese della Persia, si è insediato nel continente americano e ha preso possesso di ogni paese nel mondo. Attorno ai sacri scritti di Bahà’u’llàh e alle autorevoli spiegazioni di ‘Abdu’l-Bahà sta crescendo una gran quantità di scritti di commento o di testimonianza. I princìpi umanitari e spirituali, enunciati decenni or sono nel più oscuro Oriente da Bahà’u’llàh e da Lui fusi in uno schema coerente, vengono accettati l’uno dopo l’altro da un mondo inconsapevole della loro fonte come segni di progresso e civiltà. E la sensazione che l’umanità. abbia rotto con il passato e che le vecchie norme non possano guidarla attraverso gl’imprevisti del giorno d’oggi, ha colmato d’incertezza e di sgomento tutti gli uomini riflessivi tranne coloro che hanno imparato a trovare nella storia di Bahà’u’llàh il significato di tutti i prodigi e i portenti del nostro tempo”.