L’amore che non tradisce
Il nuovo volume di liriche di Augusto Robiati non ha soluzione di continuità col precedente: «Dio, l’uomo, il mondo», né – a ben vedere – con i numerosi saggi che l’autore ha prodotto: il punto di riferimento per le sue riflessioni e le sue emozioni è pur sempre la fede bahá’í, vissuta come intensa e totalizzante esperienza di vita, fulcro delle relazioni col mondo e con gli altri, strumento per giungere a Dio. In verità – contrariamente a tanta saggistica contemporanea, sia di stampo sociologico che filosofico – Robiati non scrive per problematizzare la realtà, ma al contrario per spiegarla; la sua è una letteratura che potremmo chiamare di “svelamento” e – per altro verso – sapienziale, nel senso che mira a trasmettere chiaramente dei significati.
Anche quest’ultimo libro si muove lungo questo percorso, focalizzando ancor più l’attenzione sul rapporto autore/Dio, sentito come unico rifugio possibile, come si evince facilmente dalla poesia «L’amore che non tradisce»: tutto nell’esistenza è precario, persino il rapporto affettivo coi figli, con la donna della propria vita, coi fratelli, ma v’è, per fortuna, l’indefettibile amore dei Signore dell’universo.
È la fede che dà senso alla vita: al di fuori di essa non c’è che materialismo sfrenato, lotta di egoismi contrastanti, «baratro che tutti ci inghiotte»; al di fuori di un profondo rapporto con Dio e con la dimensione spirituale, l’uomo è nulla e tende anzi a rotolare sempre più negli abissi della disperazione.
Le stesse tensioni sociali che conducono l’essere umano sull’orlo della follia e le società alla disgregazione, non possono essere risolte se non tramite strumenti spirituali…